
Con il trascorrere del tempo, ci si rende conto come oltre la grande strage programmata ed operata dai tedeschi di Hitler contro gli ebrei, gli zingari, i malati di mente, vi sono state tante belle figure di vescovi, sacerdoti, religiosi, laici impegnati e dissidenti politici, che spesero la loro vita, nell’affermazione dei principi cristiani e nell’aiuto concreto ai perseguitati, di quel triste periodo della storia d’Europa.
Alcuni sono stati già proclamati santi e beati della Chiesa, come ad esempio s. Massimiliano Maria Kolbe conventuale francescano, la beata Edith Stein suora carmelitana, il beato Bernardo Lichtenberg sacerdote diocesano, ecc., ma tanti altri sono avviati al riconoscimento ufficiale della loro santità e del loro martirio avvenuto nello stesso contesto e fra questi vi è la luminosa figura del Servo di Dio Teresio Olivelli, laico cattolico, soldato, partigiano, martire della carità.
Teresio nacque a Bellagio (Como) il 7 gennaio 1916, figlio di Domenico Olivelli e Clelia Invernizzi; trascorse la sua fanciullezza tra Carugo Brianza e Zeme Lomellina (Pavia), ricevendo un’educazione profondamente cristiana dai genitori e dallo zio don Rocco Invernizzi.
A 10 anni, nel 1926, la famiglia si trasferì a Mortara (Pavia) e qui frequentò il ginnasio appassionandosi al latino, la sua adolescenza lo rivela pieno di vita, che non ha paura di niente e di nessuno; professò con ardore l’amore per Gesù, infischiandosene di chi lo derideva, la sua Fede era cristallina, ogni settimana faceva la Confessione e quotidianamente la Comunione nella parrocchia di S. Lorenzo.
Meditava ogni giorno la Parola di Dio sui Vangeli e sul testo della “Imitazione di Cristo”; al liceo di Vigevano (Pavia) si distinse tra i coetanei per intelligenza e maturità, sedicenne s’impegnò nell’Azione Cattolica colloquiando fraternamente con tutti, partecipò ed organizzò lui stesso, dotte conferenze su temi religiosi e sociali; quando nel 1931 vennero chiusi con forza i circoli dell’Azione Cattolica, il giovane Teresio si infiammò tutto contro il regime, affermando: “O Mussolini cambia rotta o la cambiamo noi!”.
Facendo riferimento agli apostoli Giacomo e Giovanni, chiamati da Gesù ‘figli del tuono’, per il loro carattere zelante ed impetuoso, affermava spesso che essendo lui nato e battezzato nella parrocchia di San Giacomo, doveva diventare anch’egli “figlio del tuono”.
A 18 anni era un giovane sicuro di sé, alto e slanciato, dalla fede salda, in altre parole un cattolico convinto e credibile; si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pavia, alloggiando al Collegio Universitario ‘Ghislieri’ (fondato da s. Pio V), frequentandolo dal 1934 al 1938, anno in cui si laureò con il massimo dei voti.
In quegli anni a Pavia si conquistò l’affetto dei professori e dei compagni di studi, per la sua generosità e lo spirito di sacrificio, per la devozione con cui pregava durante la Messa e in adorazione di Gesù Eucaristia, lui così allegro e colto, s’immergeva con il rosario in mano, in lunghe e intense preghiere, isolandosi da tutti; i compagni del collegio lo chiamavano ‘padre Oliva’. Nel 1936 scoppiò la Guerra Civile in Spagna e la Chiesa subì una delle più feroci persecuzioni dell’epoca moderna, con migliaia di sacerdoti, religiosi e laici cattolici, uccisi dalle milizie rivoluzionarie rosse.
Teresio Olivelli ventenne, si propose subito come volontario per combattere i senza-Dio, allo zio sacerdote don Rocco, scrisse: “La gioventù o è eroica o è miserabile. L’uomo all’idea non può dare mezze misure di sé stesso, dà tutto. Quando poi Cristo è l’Ideale che ci sospinge, credo che il dovere si attui nell’amore totalitario a Lui e debba essere consumato sino all’ultima stilla. O la fede è vissuta come conquista oppure è anemia di invertebrati. Nella cattolica Spagna, si combatte il Divino in noi, per vincere l’anti-Cristo, negazione dell’uomo e del Cristo. L’avvenire non appartiene ai molli. La vita è perfetta quando è perfetto amore”.
I suoi familiari gl’impedirono di partire, ma da quel momento Teresio, pur continuando gli studi, si votò alla preghiera e all’offerta di sé, affinché Cristo trionfasse non solo in Spagna ma anche in Russia in preda al bolscevismo ateo.
Quasi subito dopo la laurea, ebbe l’incarico di assistente alla Cattedra di Diritto Amministrativo nell’Università di Torino. Fu per lui un periodo di intenso lavoro, di studi e di ricerca su temi giuridici e sociali; partecipò alla vita culturale ispirata dal regime imperante, ma del fascismo non accettò mai la violenza, la sopraffazione, il culto della razza; il suo ideale era lo stare dentro alla società e alle Istituzioni dell’epoca, per cristianizzarle.
Era il momento in cui credeva, come del resto gran parte del mondo cattolico, fosse possibile applicare i principi cristiani al fascismo e quindi operò con lo scopo ambizioso, di staccare il più possibile il regime dal nazionalsocialismo tedesco. Vinse i “Littorali della Cultura” di Trieste (gare di abilità oratoria e di preparazione culturale), ottenendo una certa notorietà; scrisse articoli giuridici e sociali su temi dell’epoca, nel giornale universitario “Libro e Moschetto” e sulla rivista “Civiltà Fascista”.
Fu nominato Littore e segretario dell’Istituto di Cultura Fascista e membro e primo segretario all’Ufficio Studi e Legislazione presso Palazzo Littorio.
A Torino s’impegnò a portare sulla retta strada giovani sbandati e si occupò dei poveri del “Cottolengo”. Nel 1939 e nel 1941, per motivi di studio, soggiornò a Berlino; venne in quel periodo in contatto con la cultura e la politica di mezza Europa, a Praga, Berlino, Vienna e poi a Roma presso l’Istituto Nazionale di Cultura; con la sua intelligenza scoprì ben presto la realtà che lo circondava e l’odio delle opposte ideologie, che sviluppava violenza in ogni senso; angosciato apprendeva le notizie di occupazione di Nazioni libere da parte dei nazisti; era scoppiata la Seconda Guerra Mondiale, che tanti segnali avevano preannunciato al mondo.
A giugno 1940, anche l’Italia entrò in guerra al fianco dell’alleato tedesco; Teresio intanto era stato chiamato alle armi, raggiungendo il grado di sottotenente degli Alpini e nel febbraio 1941, come tanti altri giovani, si arruolò volontario e inviato poi in Russia con gli alpini della Divisione “Tridentina”; il 10 settembre si trovò in prima linea, era un ufficiale ma condivideva senza privilegi per il titolo di studio, i pericoli e le sofferenze dei suoi soldati della 31ª Batteria, dando aiuto di ogni genere; faceva il capo servendo, fu un fratello maggiore più che un superiore di grado.
Nel Natale del 1942, nel tremendo inverno russo sulle rive del Don, leggeva e commentava il Vangelo ai soldati, gli riuscì finalmente di confessarsi e fare la Comunione, partecipando alla Messa da campo.
Durante la disastrosa ritirata delle truppe italiane dell’VIII Armata, male equipaggiate per quel gelo e attaccate dai russi, egli si prodigò per i feriti e congelati, confortò i disperati, assisté i moribondi, rivelando le sue virtù umane e cristiane, si attardava nella marcia per soccorrere i caduti, incurante del grave pericolo.
Percorse in queste condizioni spaventose duemila km a piedi, ritornando in Italia con i superstiti nel marzo del 1943, profondamente segnato nel suo spirito e sempre più desideroso di donare tutto sé stesso agli altri, specie se sofferenti; la sua prima occupazione fu lo scrivere o informare personalmente le famiglie sulla sorte dei soldati, interessandosi anche dei prigionieri.
Qualche mese dopo a soli 27 anni, vinse il concorso di Rettore al collegio ‘Ghislieri’ di Pavia, la carica durò pochi mesi, perché a luglio 1943, fu richiamato di nuovo sotto le armi nel 2° Reggimento Artiglieria Alpina di stanza a Vipiteno; ma i tempi erano cambiati, il fascismo stava crollando e l’Italia dopo l’armistizio dell’8 settembre, si trovò invasa dai tedeschi. Teresio Olivelli, che amava profondamente la Patria, rifiutò di consegnarsi alle truppe di Hitler e il 9 settembre 1943, fu catturato con l’intera batteria e rinchiuso in un campo di prigionia a Innsbruck; indomito tentò la fuga prima da Hall, la seconda volta da Regensburg e solo al terzo tentativo dal campo di Markt Pongau ci riuscì nella notte fra il 20 e il 21 ottobre. Dopo una lunga ed estenuante marcia raggiunse l’Italia, trovando rifugio presso la famiglia Ariis di Udine; rimessosi in salute, da clandestino si mise in contatto con la Resistenza cattolica del Bresciano e con il Comitato di Liberazione Nazionale, ricevendo l’incarico di mantenere i collegamenti fra i partigiani di Cremona e Brescia; il suo nome di battaglia fu ‘Agostino Gracchi’.
Convinto che la ricostruzione dell’Italia non sarebbe stata possibile senza il completo recupero dei valori cristiani, si preoccupò di diffondere la necessità della ribellione delle coscienze e delle menti più che delle armi; quindi per questo scopo fondò all’inizio del 1944, il giornale “Il Ribelle”, il cui primo numero uscì il 5 marzo; sul giornale pubblicò l’articolo “Ribelli” manifesto della rivolta morale contro il fascismo e il suo tempo, inoltre la “Preghiera del Ribelle”, considerata la più alta testimonianza spirituale di tutta la resistenza (riportata a fine scheda).
Il 27 aprile 1944 fu arrestato a Milano dalla polizia fascista e rinchiuso nel carcere di S. Vittore, dove subì percosse e torture fino all’8 giugno, quando fu inviato nel campo di concentramento di Fossoli vicino Modena, da dove cercò di fuggire, scampando fortunosamente alla fucilazione.
Nell’agosto 1944 fu deportato nel lager di Gries (Bolzano) e sulla sua casacca venne applicato oltre il triangolo rosso dei prigionieri politici, anche il disco rosso cerchiato di bianco dei prigionieri fuggitivi, che bisognava sorvegliare di più.
Anche a Gries tentò la fuga, rifugiandosi in un magazzino, dove restò nascosto per circa un mese; scoperto fu selvaggiamente
percosso e nel settembre 1944 trasferito a Flossenburg in Baviera, le condizioni di vita divennero insopportabili, ma Teresio
non si arrese, la sua fede e la sua carità si contrapposero all’odio e alla violenza degli aguzzini.
Affrontava le SS parlando perfettamente il tedesco, per far risparmiare agli altri le inumane punizioni, magari subendole lui al loro posto; a sera organizzava la recita del Rosario.
Dopo 40 giorni dall’arrivo, fu mandato insieme ad altri nel campo satellite di Hersbruck; qui la vita era terribile, addolcita solo dalla sua luminosa presenza, che i prigionieri superstiti ricorderanno come simile a Gesù, per la sua serenità e coraggio, per la solidarietà e carità verso i detenuti più esposti, riducendosi allo stremo delle forze per le tante percosse e torture subite. Assisté il Servo di Dio Odoardo Focherini suo amico, colpito da una setticemia causata da una ferita alla gamba non curata e morto nel campo il 24 dicembre 1944.
Ai primi di gennaio 1945, mentre faceva da scudo con il suo corpo emaciato e piagato ad un giovane ucraino percosso ingiustamente, il capoblocco irritato gli sferrò un violento calcio allo stomaco e intestino, cui seguirono 25 bastonate. Ricoverato nell’infermeria del campo di Hersbruck, rimase lucido e orante fino all’ultimo, quando dopo aver donato gli ultimi indumenti sani ad un amico, morì santamente il 17 gennaio 1945.
Questo giovane di 29 anni, di natura festosa e vitale, Medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria e Medaglia d’oro della Resistenza, divenne così modello di abnegazione per i più poveri ed oppressi, anche per la “supplenza sacerdotale”, cioè per l’assistenza religiosa che seppe esercitare con i compagni della comune sventura.
La diocesi di Vigevano aprì il 29 marzo 1987 il processo per la sua beatificazione, chiuso poi il 16 settembre 1989, gli atti sono
attualmente presso la competente Congregazione Vaticana
La Preghiera del Ribelle (composta da Teresio Olivelli)
Signore, facci liberi,
Signore che fra gli uomini drizzasti la Tua Croce, segno di contraddizione, che predicasti e soffristi la rivolta dello spirito,
contro le perfidie e gli interessi dei dominanti, la sordità inerte della massa,
a noi oppressi da un giogo numeroso e crudele che, in noi e prima di noi,
ha calpestato Te fonte di libere vite, dà la forza della ribellione.
Dio, che sei Verità e Libertà, facci liberi e intensi; alita nel nostro proposito, tendi la nostra volontà, moltiplica le nostre forze,
vestici della tua armatura.
Noi ti preghiamo Signore,
Tu che fosti respinto, vituperato, tradito, perseguitato, crocifisso, nell’ora delle tenebre ci sostenti la Tua vittoria: sii
nell’indulgenza viatico, nel pericolo sostegno, conforto nell’amarezza. Quanto più si addensa e incupisce l’avversario, facci
limpidi e diritti.
Nella tortura serra le nostre labbra. Spezzaci, non lasciarci piegare.
Se cadremo fa che il nostro sangue si unisca al Tuo innocente
e a quello dei nostri Morti a crescere al mondo giustizia e carità.
Tu che dicesti: “Io sono la resurrezione e la vita”, rendi nel dolore all’Italia una vita generosa e severa. Liberaci dalla
tentazione degli affetti: veglia sulle nostre famiglie.
Sui monti ventosi e nelle catacombe delle città, dal fondo delle prigioni,
noi Ti preghiamo, sia in noi la pace che Tu solo sai dare.
Dio della pace e degli eserciti, Signore che porti la spada e la gioia, ascolta la preghiera di noi “ribelli per amore”.
Autore: Antonio Borrelli