S
erva di Dio Maria Giuseppina di Gesù
(Luisa Cepollini d’Alto)
1880-1917
Luisa Maria Benedetta
nacque a Savona da una nobile famiglia profondamente
cristiana. Fin da piccola si sentì attratta dalla
vita religiosa e nel 1905 emise i voti perpetui
assumendo il nome di Suor Maria Giuseppina
di Gesù, Sposa del Cuore di Gesù.
Gesù apparendole una volta le
confidò: «Ti voglio mediatrice tra Dio e gli
uomini … Prega, supplica, espia, sono avido
di perdonare; tu sii avida di chiedere e di
ottenere il mio perdono … Trasportati in
spirito nelle più povere chiese di campagna
e lì adora e ripara. Costituisciti l’adoratrice
delle Ostie abbandonate, la riparatrice delle
Ostie oltraggiate … ».
Da allora Suor Maria si sottopose a
grandi penitenze per amore dei peccatori e
questo urtò molto il demonio che apparen-
dole la minacciò con queste parole: «Come
potrai sopportare la vita che ti sei imposta?
… E tutte le mortificazioni e privazioni che
vi hai ancora aggiunte? … È impossibile …
presumi troppo del tuo coraggio e di te stessa».
Pochi tempo dopo cominciò ad
essere afflitta da dei mali a cui i medici non
riuscivano a trovare nessuna spiegazione.
Accettò con rassegnazione la malattia che la
condusse alla morte nel 1917. Vi furono
numerosi contatti con il suo Angelo custode
che spesso la istruiva e la consigliava. Nei
suoi scritti Suor Maria racconta: «Malgrado
le lezioni del mio santo Angelo, mi trovavo
spesso in uno stato in cui sentendo dentro di
me il rigore dei giudizi di Dio venivo assalita
da forti tentazioni. In preda alla disperazione,
mi appellai come al solito al mio Angelo
custode che avendo ancora pietà di me mi
condusse all’entrata del giardino del Gethsémani
dove si trova Gesù in agonia. Pur essendo
lontana, mi prostrai a terra, e la vista di Gesù
sofferente penetrò così in profondità nella
mia anima che persi qualsiasi percezione
della pena che avevo dentro di me. Non vidi
e non sentii altro che la sofferenza di Gesù.
Il mio unico desiderio divenne allora quello
di confortare il Signore. Il mio Angelo, vedendo
la mia sofferenza mi disse: “C’è bisogno di
anime vittime per consolare Gesù. Dove sono,
quelle che acconsentono a soffrire con lui fino
all’agonia e al sudore col sangue?”. Mi fece
poi segno di avvicinarmi a Gesù, ma siccome
non osavo farlo ritenendomi indegna, mi disse:
“Avanza senza paura, è qui il luogo di pre-
ghiera dei peccatori”. Mi avvicinai allora, mi
prostrai e compresi il valore dell’amore peni-
tente e compassionevole: avevo trovato il luogo
del mio riposo. Qualche volta il mio Angelo
mi conduceva in spirito al capezzale di un
morente, o nelle prigioni, o vicino ad
un’anima caduta nel peccato, o vicino alle
Ostie profanate, o in Purgatorio. Mi diceva
sempre che una grande “preghiera” è sino-
nimo di una grande “sofferenza”, ma di una
sofferenza che però è piena d’amore …
Domandai allora a Dio la grazia di poter
portare questa sofferenza per sempre».